Un anno di lockdown dei giochi: l’8 marzo 2020 le prime chiusure. Oggi toccati i 240 giorni di stop in 12 mesi per sale giochi, sale scommesse e sale bingo

Un anno fa, con la chiusura delle attività in alcune zone rosse, iniziava quindi il calvario che avrebbe portato il settore del gioco pubblico nella drammatica situazione attuale. Era l’alba della pandemia del Covid-19 che ha investito tutti gli angoli della Terra innescando una crisi socio-sanitaria-economica di una portata senza precedenti.

L’Italia fu il primo dei paesi occidentali a subire gli effetti della pandemia e l’esecutivo guidato allora da Giuseppe Conte attuò misure che portarono, progressivamente, al primo lockdown nazionale. Furono bloccate tutte le attività produttive, esclusi gli esercizi commerciali per l’acquisto dei beni di prima necessità. Decisione che all’epoca era quasi obbligata e a cui fecero ricorso praticamente tutti gli Stati del mondo.

Una volta superata la prima fase di emergenza assoluta, emersero le prime incongruenze nella gestione dell’emergenza. A maggio 2020, infatti, arrivarono i primi allentamenti alle misure restrittive per le attività consentendo, ad esempio, a bar e ristoranti di riaprire grazie anche ai protocolli sanitari in grado di ridurre il rischio contagi. Il settore dei giochi rimase escluso dalle riaperture, nonostante avesse stipulato dei protocolli di sicurezza considerati da tutti gli esperti molto rigidi.

Il miglioramento della curva epidemiologica avvenuto a giugno permise finalmente la ripresa dell’attività delle sale giochi, sale scommesse e sale bingo grazie al DPCM dell’11 giugno. La ripresa però non avvenne per tutti a giugno poiché gli imprenditori del Lazio dovettero attendere fino al 1° luglio, mentre quelli della provincia di Bolzano ottennero il via libera solo 15 luglio.

Per poter riaprire gli operatori del mondo dei giochi hanno però dovuto effettuare enormi investimenti per mettere i propri locali in sicurezza attraverso l’acquisto di divisori in plexiglass, materiale disinfettante, allestimento dei percorsi e igienizzanti per le postazioni da gioco. Nonostante tutte le accortezze messe in campo dai lavoratori e imprenditori del gioco e l’assenza di casi comprovati all’interno di queste attività, il 26 ottobre arrivò il secondo stop per il settore dopo un costante incremento dei contagi avvenuto tra settembre e ottobre.

La chiusura è stata prorogata in ogni DPCM emesso dal governo Conte Bis e anche il primo emesso dal nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi non si è discostato sulle restrizioni imposte al gioco allungando lo stop almeno fino al 6 aprile.

Oggi, 8 marzo, sono ben 240 giorni di chiusura su 365, più di ogni altro paese europeo come è stato già dimostrato da una indagine condotta da Agimeg. Tutto ciò ha messo a dura prova l’intero comparto e nel 2021 si stima che siano a rischio circa 50.000 posti di lavoro nel settore del gioco. Anche l’Erario paga lo scotto di questa chiusura prolungata: nel consuntivo 2020 alle casse dell’Erario sono venuti meno oltre 4,5 miliardi di euro.

Chi guadagna da questa chiusura di 9 mesi è la criminalità organizzata, che sta approfittando delle difficoltà del settore. Il giro d’affari del gioco illegale – che nel 2019 era stimato intorno ai 12 miliardi euro – nel 2020 ammonta a circa 18 miliardi di euro (+50%). Come ulteriore conferma di questo dato arriva dal numero di operazioni riguardanti il mercato del gioco, effettuate da Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia, Direzione Distrettuale Antimafia e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Nella ricerca svolta da Agimeg, nel 2019 sono state effettuate 22 operazioni contro il gioco illegale, numero cresciuto lo scorso anno quando le operazioni furono ben 26. E nei primi due mesi del 2021, sono già 6 le operazioni di polizia condotte sul territorio italiano, confermando una crescita rispetto allo stesso periodo del 2019. Si tratta di operazioni che fanno riferimento all’anno indicato e non arrivano da inchieste precedenti.

 

(Agimeg/ac)

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