Chi semina zizzania nel dibattito sul gioco pubblico?

“E’ una cosa improponibile" è stato il commento a caldo del Presidente Nazionale STS, Giorgio Pastorino, non appena battuta la notizia dalle diverse agenzie di stampa. Improponibile perché andrebbe a colpire, tra gli altri, anche molti tabaccai che, a causa di qualche insensato regolamento comunale, possono far funzionare le slot giusto qualche ora al giorno. O che dovranno ben presto rinunciare del tutto all’offerta di gioco tramite apparecchi stante l’imminente scadenza delle relative licenze sancita in regioni quali la Liguria, la Puglia e la Basilicata.


E, ancora, improponibile perché trasmette l’idea che gli operatori del gioco, tra cui i tabaccai che effettuano la raccolta, facciano così tanti soldi da poterne dare in tasse ancor più di quanto già non facciano.


Per dare un’idea concreta del fatto che non ci facciamo d’oro con il gioco, prendiamo spunto da un recentissimo un comunicato stampa con cui l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha risposto alle “inesattezze che caratterizzano talvolta i dati oggetto di commento relativi al gioco legale”. 


In esso si precisa, una volta di più, un concetto che, inconsapevolmente o intenzionalmente, a molti continua a sfuggire e cioè la sostanziale differenza tra raccolta e spesa (raccolta meno vincite). Nel 2016, la prima è stata di 96 miliardi, la seconda di 19 essendo tornati in vincite ben 77 miliardi.


La voce “spesa” è fondamentale per comprendere la vera incidenza della tassazione operata anche se la base imponibile delle aliquote è, formalmente, la “raccolta”.  Prendendo a esempio le slot installate negli esercizi quali bar e tabaccherie, l’ADM spiega che, partendo da una tassazione del 17,5% (il famoso PREU) considerato che il ritorno in vincite è del 70% (cosiddetto pay out) la tassazione effettiva su tale segmento di offerta arriva a oltre il 58%. “Più in generale – si legge nel comunicato – oggi la tassazione complessiva del settore – pari a circa 10 miliardi di euro – supera il 52% della spesa”. In altri termini, il ricavo complessivo della filiera, al netto delle imposte di gioco, è pari a circa 9 miliardi. “Non si tratta di profitti, ma di ricavi”, precisa l’Agenzia. Insomma, tassare ulteriormente il settore significherebbe condannare gli operatori a lavorare gratis, se non addirittura in perdita.


Ecco perché quella della tassa sulle sale e i punti vendita del gioco è una sparata che sa di demagogia, utile solo a seminare altra zizzania nel clima insostenibile che si è creato intorno al gioco pubblico.

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