I futuri contratti? Una trappola se il decreto non cambia
Nella bozza di decreto in materia di giochi pubblici, di cui si attende la presentazione in Consiglio dei Ministri, è presente un articolo che fissa i contenuti minimi dei contratti tra i concessionari e singoli titolari di punti di offerta dei giochi.
La predeterminazione per legge di ben definite condizioni contrattuali dovrebbe rappresentare, per entrambe le parti, una garanzia in termini di trasparenza e leale concorrenza.
Ma per i ricevitori potrebbe trasformarsi in un nuovo problema.
Uno dei contenuti minimi previsti, infatti, riguarda la facoltà di recesso dal contratto da parte del punto di offerta di gioco: nello specifico, il legislatore obbliga i concessionari a riconoscere agli esercenti tale facoltà con un preavviso non inferiore a tre mesi e la previsione, in favore del concessionario, di un indennizzo predeterminato e proporzionato agli investimenti da quest’ultimo effettuati.
Tutto regolare? Neanche per sogno: di questa disposizione non vanno bene due cose.
Innanzitutto fissare solo un termine minimo per il preavviso di recesso, significa dare al concessionario la possibilità di stabilire, in concreto, qualsiasi termine che dovesse ritenere più vantaggioso per se stesso. Si pensi ad esempio a un preavviso di 24 mesi, o più lungo ancora, tanto da vanificare nella realtà la possibilità stessa di recedere dai contratti! Per questo motivo, oltre al termine minimo di tre mesi, è necessario che il legislatore fissi anche un termine massimo. La nostra proposta è che non debba superare i sei mesi.
In secondo luogo, la bozza del decreto prevede che il ricevitore indennizzi il concessionario qualunque sia la ragione che lo spinge a uscire dal mercato dei giochi.
Pur comprendendo l’esigenza dei concessionari di poter contare sui propri punti di raccolta senza temere “fughe” improvvise, non possiamo accettare una norma che dia loro la possibilità di esigere indennizzi il cui ammontare non sia stato concertato con li Sindacato: il timore è, ancora una volta, che di proporzionato non vi sia nulla, e che compaiano nei contratti clausole di indennizzo così elevate da rendere impraticabile l’esercizio del recesso.
Del resto, se volessimo uscire dal contratto per razionalizzare le nostre risorse in virtù di cambiamenti del mercato o più banalmente perché i costi di gestione di un prodotto hanno superato i guadagni , dobbiamo essere in grado di farlo velocemente e senza indennizzare nessuno!
Su tale posizione, già esposta personalmente dai nostri rappresentanti nazionali al Sottosegretario Baretta, daremo battaglia in ogni sede disponibile.