Computer si o no, questo è il problema...

 

In breve, la storia: l’esercente deteneva due computer tramite i quali i suoi clienti, collegandosi al sito autorizzato del concessionario, effettuavano giocate on line. Durante un controllo, la Finanza aveva accertato la mancanza della licenza per l’esercizio delle scommesse e, per questo, aveva segnalato l’uomo all’Autorità Giudiziaria.

 

Secondo i giudici del Tribunale (che hanno ribaltato la condanna di primo grado emessa dal GIP) “la semplice messa a disposizione del pubblico di postazioni telematiche che consentono di eseguire giocate online senza alcuna intermediazione da parte dell’esercente costituisce un'attività lecita che non necessita dell’autorizzazione ex art. 88 TULPS".

 

Il principio non fa una piega: se non c’è intermediazione, non c’è raccolta di scommesse; se non c’è raccolta, la relativa licenza non serve.
Ma, se così è, perché – ci chiediamo – il decreto Balduzzi vieta, a noi ricevitori di giochi pubblici, di mettere a disposizione della clientela qualsivoglia genere di apparecchiature atte a giocare on line?

 

Si tratta di un divieto che potremmo giustificare qualora fosse diretto a scoraggiare il gioco sui siti non autorizzati ma, poiché si riferisce espressamente anche alle piattaforme di gioco dei concessionari, ci risulta difficile comprenderne la ratio. Soprattutto alla luce dei ragionamenti emergenti dalle sentenze come quella del Tribunale di Lecco che, in tal senso, non è la prima né sarà l’ultima.

 

A subire le conseguenze negative di questo bailamme normativo, sono i ricevitori sottoposti ai continui controlli delle autorità preposte: l’eventuale presenza di un computer posto a servizio dei clienti (e a prescindere dall’uso che questi ne facciano!) potrebbe dar luogo a un verbale di contestazione per la violazione del decreto Balduzzi.

 

E anche se poi tutto finirebbe in una bolla di sapone (il divieto non ha una sua specifica sanzione) resteremmo con l’amaro in bocca per essere stati trattati come dei trasgressori.

indietro