I giochi sono economia reale, guai a trattarli diversamente

Da un settore già schiacciato quasi del tutto dal fisco, non si può chiedere di più. Sarebbe semmai più saggio attribuire parte dell’attuale prelievo fiscale agli scopi preannunciati di rilancio dello sport italiano.

Il gioco legale ha sempre rappresentato per lo Stato una fonte di entrate importante ma, anziché preservarne la tenuta, si è proceduto negli anni a spremerlo fino all’osso, tra la generale soddisfazione dei tanti – tra politici, commentatori, rappresentanti dei consumatori – che per una supposta mancanza di “virtuosità” non lo ritengono degno di tutela.

Al contrario, quello dei giochi è un settore più che virtuoso per il solo fatto che è costituito da persone in carne e ossa che svolgono un’attività di natura pubblica autorizzata e controllata dallo Stato.

Se si dimentica che il gioco fa parte dell’economia reale, e non di quella finanziaria, non si troverà mai la soluzione giusta per il rilancio voluto dall’omonimo decreto.

Lo sconvolgente periodo che stiamo vivendo – non a caso da molti paragonato agli anni dell’ultimo conflitto mondiale – sarà superato solo se, alle terribili morti causate dal virus, non aggiungeremo anche quella di singoli settori economici che creano lavoro per molti italiani e garantiscono miliardi allo Stato.

 

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